Astronomia / astrofisica

L'ambiente attorno all'asteroide Bennu poco dopo l'espulsione avvenuta il 28 agosto 2019

Una speciale serie di articoli pubblicati su “Journal of Geophysical Research: Planets” riporta i risultati di varie ricerche sull’asteroide Bennu, in alcuni casi già pubblicate nei mesi scorsi. Vari ricercatori hanno utilizzato dati raccolti dalla sonda spaziale OSIRIS-REx della NASA ottenendo alcune sorprese riguardo a ciò che avviene su Bennu come la perdita di materiali che vengono espulsi nello spazio. Tra le possibili cause ci sono meteoroidi, stress termico e il rimbalzo di particelle che ricadono sulla superficie per essere spinte nuovamente nello spazio. L’attività di Bennu poteva essere notata solo da una sonda spaziale nelle vicinanze e ciò pone il problema della possibile attività di altri asteroidi.

Schema del lavoro dello strumento CONSERT

Un articolo pubblicato sulla rivista “Monthly Notices of the Royal Astronomical Society” riporta uno studio che indica che l’interno del nucleo della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko è poroso e meno denso della sua superficie. Un team di ricercatori ha riesaminato dati raccolti dallo strumento CONSERT della sonda spaziale Rosetta dell’ESA e del suo lander Philae. I segnali scambiati tra di essi attraverso il nucleo cometario si sono propagati a diverse velocità, indicando una densità variabile del suo interno. Ciò suggerisce che le radiazioni solari abbiano modificato la superficie, rendendola meno porosa.

Il sistema di WR 147 visto dal VLA

Un articolo pubblicato sulla rivista “The Astrophysical Journal Letters” riporta uno studio del sistema di WR 147 e in particolare di una delle due stelle che lo formano che sta ormai raggiungendo la fine della sua vita, una stella massiccia che ora è una gigante molto calda che appartiene alla categoria delle stelle di Wolf-Rayet. Un team di ricercatori ha usato il radiotelescopio VLA per studiare le emissioni radio di questa stella, rilevando venti stellari molto forti che si scontrano con quelli della sua compagna, un’altra stella gigante ma non ancora giunta alla fine della sua vita. Questo fenomeno genera potentissimi vortici di materiali che sembrano girandole cosmiche.

GW Orionis visto da ALMA e SPHERE (Immagine ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), ESO/Exeter/Kraus et al.)

Un articolo pubblicato sulla rivista “Science” riporta una ricerca sulle caratteristiche del disco circumstellare del sistema di GW Orionis, o GW Ori, deformato dall’azione delle tre stelle che lo formano. Un team di ricercatori ha usato gli strumenti AMBER e successivamente GRAVITY e SPHERE montati sul VLTI dell’ESO e il radiotelescopio ALMA per osservare le deformazioni del disco e i tre anelli in cui è diviso, i quali sono disallineati. L’anello interno è formato da quantità di materiali stimata in una massa circa 30 volte quella della Terra perciò potrebbero formarsi pianeti. L’obiettivo degli studi di questo sistema triplo è capire se nei suoi anelli possano formarsi pianeti con orbite stabili, un passo avanti per capire questo tipo di processi in sistemi doppi o multipli.

Concetto artistico di due buchi neri che stanno per fondersi (Immagine cortesia Mark Myers, ARC Centre of Excellence for Gravitational Wave Discovery (OzGrav))

Due articoli, uno pubblicato sulla rivista “Physical Review Letters” e uno sulla rivista “The Astrophysical Journal Letters”, riportano vari aspetti di un’analisi dei dati raccolti dalle collaborazioni LIGO e Virgo sulla fusione tra due buchi neri di cui sono state rilevate le onde gravitazionali nell’evento catalogato come GW190521. I due buchi neri coinvolti avevano masse fuori dal normale, stimate in 66 e 85 volte quella del Sole, per una massa totale di circa 150-151 volte quella del Sole. Il buco nero prodotto ha una massa stimata in 142 volte quella del Sole, il che significa che circa 9 masse solari sono state trasformate in energia durante quell’evento per formare un buco nero di massa intermedia, il primo osservato alla nascita.