Il meteorite di Almahata Sitta potrebbe essere un resto di un pianeta andato distrutto

Frammento del meteorite di Almahata Sitta
Frammento del meteorite di Almahata Sitta

Un articolo pubblicato sulla rivista “Nature Communications” descrive uno studio dei microscopici diamanti scoperti all’interno del meteorite di Almahata Sitta, un frammento di un meteorite più grande esploso nell’atmosfera terrestre il 7 ottobre 2008. Un team di ricercatori ha analizzato quei diamanti concludendo che contengono composti che possono formarsi solo all’interno di un pianeta perciò devono essere resti di un pianeta perduto di dimensioni tra quelle di Mercurio e di Marte.

Il 7 ottobre 2008 il meteorite catalogato come 2008 TC3, con una massa stimata in circa 80 tonnellate per un diametro di poco più di 4 metri, esplose nell’atmosfera terrestre a un’altezza di circa 37 chilometri sopra il deserto nubiano, in Sudan. Era stato avvistato il giorno prima da Richard Kowalski del Catalina Sky Survey, che di conseguenza potè fornire le informazioni necessarie a osservarlo e a prevedere i tempi dell’impatto.

Molti frammenti vennero recuperati anche se la loro massa totale è di poco più di 10 kg e analizzati da varie istituzioni tra cui la NASA. Ciò permise di capire rapidamente che la sua natura era inusuale dato che si trattava di un urelite, o ureilite, con una composizione ben diversa da quella di altre meteoriti rocciose. Una delle sue caratteristiche è una percentuale di carbonio attorno al 3%, molto superiore al normale, che può essere sotto forma di grafite ma anche di diamanti microscopici.

La cristallizzazione del carbonio che genera diamanti è dovuta a condizioni di temperatura e pressione molto elevate. Nel caso dei nanodiamanti presenti nelle ureliti in genere la spiegazione è in onde d’urto causate da violente collisioni dell’urelite con altri asteroidi. Tuttavia, essi vengono chiamati nanodiamanti proprio perché le loro dimensioni sono di pochi milionesimi di millimetro mentre quelli trovati nel meteorite di Almahata Sitta raggiungono i 100 micrometri di lunghezza, molte migliaia di volte maggiore del normale.

Già nel 2015 una prima analisi di quei diamanti microscopici fece sospettare a un team di ricercatori che la loro origine potesse essere in un pianeta perduto ma servivano prove. Dopo altro tempo e altre analisi i ricercatori hanno scoperto che i diamanti nel meteorite di Almahata Sitta contengono frammenti di un composto di ferro-zolfo che si forma solo a pressioni superiori a 20 GigaPascal. La conclusione è che devono essersi formati all’interno di un pianeta con dimensioni tra quelle di Mercurio e di Marte.

L’immagine al microscopio elettronico in alto (Nature Communications / Farhang Nabiei et. al.) mostra segmenti di diamanti con un orientamento cristallografico simile. Le linee gialle tratteggiate mostrano i confini tra diamanti e grafite. La parte a destra corrisponde al quadrato verde nella parte sinistra. La linea arancione mostra le tracce del composto di ferro-zolfo.

Se le conclusioni dei ricercatori sono corrette, rimane da capire da dove venisse il pianeta da cui ha avuto origine il meteorite di Almahata Sitta. Secondo i modelli di formazione del sistema solare, in origine c’erano vari planetoidi e forse piccoli pianeti che successivamente vennero distrutti in collisioni o assobriti da altri pianeti. Un piccolo pianeta potrebbe aver colpito la Terra primordiale, causando la formazione della Luna.

Philippe Gillet, uno scienziato planetario dell’Istituto Federale di Losanna, in Svizzera, uno degli autori dello studio, ha dichiarato che il meteorite di Almahata Sitta potrebbe essere uno dei resti della prima generazione di pianeti del sistema solare. Gillet è già stato coinvolto in passato in studi su meteoriti e simulazioni di antichissimi impatti.

Secondo Farhang Nabiei, il primo autore dell’articolo e anche lui dell’Istituto Federale di Losanna, tutte le ureliti arrivano dallo stesso pianeta o protopianeta, che forse è durato solo pochi milioni di anni. Per questo motivo, intende cercare e analizzare altre meteoriti simili per cercare altri indizi delle loro origini.

L'astronomo Peter Jenniskens con un frammento del meteorite di Almahata Sitta (Foto NASA / SETI / P. Jenniskens)
L’astronomo Peter Jenniskens con un frammento del meteorite di Almahata Sitta (Foto NASA / SETI / P. Jenniskens)

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