
Un articolo pubblicato sulla rivista “Journal of Geophysical Research: Planets” riporta uno studio che affronta ancora una volta la questione della possibilità che il pianeta nano Plutone abbia o almeno abbia avuto in passato un oceano sotterraneo. P. J. McGovern, O. L. White e P. M. Schenk hanno usato dati raccolti dalla sonda spaziale New Horizons della NASA per analizzare in particolare le caratteristiche geologiche di Sputnik Planitia, un vasto bacino che costituisce la parte occidentale della regione a forma di cuore di Plutone. I risultati sono importanti per valutare ad esempio lo spessore della sua litosfera e come si è formato questo pianeta nano.
Lo straordinario volo ravvicinato a Plutone compiuto il 14 luglio 2015 dalla sonda spaziale New Horizons ha permesso di ottenere una mole di informazioni impensabili senza l’utilizzo di strumenti vicini a questo pianeta nano. I dati sono utili anche nelle discussioni riguardanti la possibilità che Plutone abbia o abbia avuto un oceano sotterraneo di acqua liquida. L’idea potrebbe sembrare assurda pensando alla sua distanza dal Sole e anche da pianeti giganti che possano scaldare il suo sottosuolo come succede a lune come Europa, Encelado e forse anche altre. Tuttavia, esistono altre ipotesi legate alla formazione di Plutone.
Due modelli contrapposti descrivono la possibile nascita di un oceano sotterraneo di acqua liquida in seguito alla formazione del pianeta nano Plutone. Secondo il modello “freddo”, oggetti freddi si sono lentamente uniti nel corso di milioni di anni e alla fine una quantità sufficiente di materiali radioattivi potrebbe aver generato abbastanza calore da fondere il ghiaccio d’acqua nel sottosuolo. Secondo il modello “caldo”, collisioni violente hanno portato alla formazione di Plutone in un tempo relativamente breve generando un calore sufficiente a scaldarne l’interno e a formare un oceano.
Qualche indizio riguardante la formazione di Plutone arriva dallo studio del bacino di Sputnik Planitia, la parte occidentale della regione a forma di cuore, quella più facilmente riconoscibile del pianeta nano diventata iconica dopo la pubblicazione delle fotografie scattate dalla sonda spaziale New Horizons. Quel bacino è stato formato in seguito a un impatto che ha generato un cratere che successivamente è stato riempito di azoto ghiacciato.
Gli scienziati che studiano Plutone hanno trovato Sputnik Planitia molto interessante per le fratture presenti sulla superficie ghiacciata. L’immagine (NASA/JHUAPL/SwRI) mostra Plutone e nel riquadro alcuni particolari della superficie di quel bacino. Le fratture offrono informazioni sull’influenza dell’azoto ghiacciato sulla superficie di Plutone ma essa dipende dallo spessore di quella superficie. L’azoto spinge in basso sulla litosfera, il cui spessore influenza il modo in cui la superficie si frattura.
Gli autori di questo studio hanno utilizzato modelli informatici per simulare le fratture della superficie di Sputnik Planitia per verificare quali condizioni geologiche hanno generato quelle osservate dalla sonda spaziale New Horizons. Il risultato è che la litosfera deve avere uno spessore tra i 45 e i 70 chilometri e che il cratere che ha formato quel bacino aveva una profondità iniziale limitata, non superiore ai 3 chilometri.
Secondo i ricercatori, i risultati sono coerenti con il modello “caldo” per la formazione di Plutone. Se queste conclusioni sono esatte, il calore generato dagli impatti che hanno formato il pianeta nano hanno permesso la nascita di un oceano di acqua liquida che si è congelato nel corso del tempo. Un’altra conclusione riguarda i criovulcani presenti attorno a Sputnik Planitia, la cui attività può essere facilitata dallo stress causato dai movimenti dell’azoto ghiacciato.
È improbabile che questo sia l’ultimo studio riguardante la possibile presenza di un oceano sotterraneo su Plutone. La mole di dati raccolta dalla sonda spaziale New Horizons continua a essere studiata e ci sono studi che riguardano altri corpi celesti, soprattutto lune, per cercare di capire in quali condizioni vi possa essere acqua liquida nel sottosuolo. Sono studi legati anche alle condizioni in cui potrebbero emergere forme di vita che verranno estesi a esopianeti con i progressi nelle osservazioni di altri sistemi planetari.