Le prime analisi del più potente lampo gamma mai osservato

Gli anelli concentrici generati dal lampo gamma GRB221009A visti dal telescopio spaziale XMM-Newton (Immagine ESA/XMM-Newton/M. Rigoselli (INAF))
Gli anelli concentrici generati dal lampo gamma GRB221009A visti dal telescopio spaziale XMM-Newton (Immagine ESA/XMM-Newton/M. Rigoselli (INAF))

Un numero speciale della rivista “The Astrophysical Journal Letters” è dedicato al lampo gamma catalogato come GRB221009A, indicato fin dalle prime stime delle sue caratteristiche come il lampo gamma del secolo. Diversi team di ricercatori hanno condotto vari tipi di analisi dei dati raccolti da molti strumenti che hanno rilevato in parecchie bande elettromagnetiche le emissioni provenienti da GRB221009A e dal cosiddetto afterglow, cioè i residui delle sue emissioni. L’enorme mole di dati indica che si tratta del più potente lampo gamma mai osservato e offre nuove informazioni su questi fenomeni estremamente energetici. In questo caso, si è trattato di un lampo gamma lungo, probabilmente generato dal collasso del nucleo di una stella massiccia e dalla successiva nascita di un buco nero.

Secondo una ricostruzione avvenuta molto dopo l’evento, il lampo gamma GRB221009A è stato rilevato innanzitutto dal telescopio spaziale Fermi della NASA, uno strumento per rilevare i raggi gamma. Molti altri strumenti per la rilevazione di raggi gamma e raggi X hanno avuto problemi a misurare emissioni così potenti. Anche l’atmosfera terrestre è stata influenzata dato che la parte alta della ionosfera è stata fortemente ionizzata nell’area colpita. Tutto ciò ha reso difficile anche individuare la fonte di quell’evento con stime iniziali della sua distanza che erano approssimative per poi convergere su una galassia a circa 2 miliardi di anni luce dalla Terra.

Le emissioni di raggi X osservate hanno tra i motivi di interesse gli anelli concentrici, i quali corrispondono al numero di nubi di polvere incontrate dai fotoni del lampo gamma GRB221009A. L’analisi delle immagini catturate ai raggi X mostra un totale di 21 anelli, un altro record per quest’evento. Ogni anello offre informazioni sulla posizione della materia incontrata dalle emissioni, sulla sua composizione chimica e sulla dimensione dei grani di polvere che compongono la nube.

Secondo le ricostruzioni, il lampo gamma GRB221009A è stato generato dal collasso del nucleo di una stella massiccia che ha portato alla nascita di un buco nero che emette getti di particelle ad altissima energia in direzioni opposte mentre inghiotte i materiali che lo circondano. I getti sono quelli che hanno generato l’afterglow.

Una sorpresa è avvenuta da analisi delle emissioni all’altro estremo dello spettro elettromagnetico. Il Submillimeter Array (SMA) alle Hawaii è stato tra i radiotelescopi che hanno ottenuto le migliori osservazioni dell’afterglow del lampo gamma GRB221009A. Le emissioni di onde millimetriche e onde radio sono risultate molto più luminose del previsto e potrebbero essere state prodotte da un meccanismo diverso da quelli scoperti nel passato in cui una parte dei getti produce emissioni di luce visibile e raggi X mentre un’altra parte produce onde radio e millimetriche.

Gli astronomi si aspettavano di rilevare anche una supernova e successivamente i suoi resti, che normalmente cominciano a espandersi. Finora non hanno avuto fortuna neppure con il telescopio spaziale James Webb, che ha rilevato “solo” le emissioni infrarosse dell’afterglow. È possibile che nubi di polvere abbiano bloccato le emissioni della supernova e la stella sia stata talmente massiccia che il buco nero neonato abbia avuto già una massa sufficiente a divorare i materiali attorno ad esso.

Secondo una stima, un lampo gamma come GRB221009A avviene una volta ogni 10.000 anni. La potenza e il rapido allarme diffuso nel mondo dell’astronomia hanno permesso di ottenere dati da molti strumenti diversi, a volte anche per caso dato che perfino la sonda spaziale Voyager 1, nello spazio interstellare, ha rilevato alcune emissioni. Si tratta di un evento di una portata tale che probabilmente gli studi pubblicati nel numero speciale di “The Astrophysical Journal Letters” costituiscono solo l’inizio delle sue analisi.

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