Qualche dettaglio sulla geologia di Ultima Thule

Il Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory, che collabora con la NASA alla missione New Horizons, ha pubblicato una nuova immagine dell’oggeto della Fascia di Kuiper catalogato come 2014 MU69 e soprannominato Ultima Thule che offre maggiori dettagli delle sue caratteristiche geologiche. Vari pozzi, la grande depressione sul lobo più piccolo, il “collare” che unisce i due lobi, aree chiare e altre scure potranno essere studiate per ottenere risposte alle tante domande poste dopo la ricezione delle prime immagini scattate dalla sonda spaziale nel suo passaggio ravvicinato del Capodanno 2019.

I primi giorni del 2019 erano stati caratterizzati dall’eccitazione seguente la conferma del successo del passaggio ravvicinato della sonda spaziale New Horizons a Ultima Thule e dall’arrivo delle prime fotografie, che avevano svelato la forma di quest’oggetto permettendo di stabilire che è formato da due asteroidi più piccoli che si sono fusi e poco altro. Per vari giorni c’è stato un black out nelle comunicazioni a causa del Sole, che era tra la Terra e New Horizons, ma le comunicazioni sono riprese regolarmente e così la ricezione di immagini sempre più dettagliate.

Tra il 18 e il 19 gennaio 2019 è arrivata un’immagine scattata dalla componente Multicolor Visible Imaging Camera (MVIC) dello strumento Ralph della sonda spaziale New Horizons da una distanza di 6,700 chilometri da Ultima Thule, circa 7 minuti prima del suo massimo avvicinamento. Quest’immagine è stata migliorata usando un processo chiamato deconvoluzione e il risultato mostra già vari dettagli di quest’oggetto che potranno cominciare a essere studiati in attesa di immagini ancor più dettagliate.

L’immagine (NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institute) offre una vista della grande depressione sul lobo più piccolo di Ultima Thule ma mostra anche una serie di pozzi più piccoli, con diametri che raggiungono qualche centinaio di metri. I dettagli non sono ancora sufficienti per capire se si tratti di crateri da impatto o se siano stati prodotti da altri processi come il collasso in seguito alla perdita di composti volatili che possono sublimare lentamente anche a 6 miliardi e mezzo di chilometri dal Sole.

La fotografia è in bianco e nero ma è comunque possibile vedere che alcune aree di Ultima Thule sono più chiare e altre più scure con differenze e sfumature che potranno offrire nuovi indizi sulla sua formazione. Il “collare” attorno all’area che unisce i due lobi è una delle caratteristiche più evidenti di quest’oggetto e il suo studio potrà offrire nuovi indizi sul loro processo di fusione.

I due asteroidi originali sono due mattoni primordiali come quelli che hanno formato i pianeti attraverso fusioni successive perciò capire un oggetto del genere può aiutare a capire meglio anche la formazione planetaria. Diversi mattoni possono portare diversi composti: Ultima Thule potrebbe essere una potenziale cometa rimasta inattiva a causa della distanza dal Sole ma oggetti simili potrebbero aver portato anche acqua sui pianeti interni.

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