Un buco nero supermassiccio primordiale ha una massa difficile da spiegare

Concetto artistico di Pōniuāʻena (Immagine cortesia International Gemini Observatory/NOIRLab/NSF/AURA/P. Marenfeld)
Concetto artistico di Pōniuāʻena (Immagine cortesia International Gemini Observatory/NOIRLab/NSF/AURA/P. Marenfeld)

Un articolo accettato per la pubblicazione sulla rivista “The Astrophysical Journal Letters” riporta la scoperta di un quasar primordiale molto luminoso che è stato catalogato come J100758.264+211529.207, o semplicemente J1007+2115, e chiamato Pōniuāʻena. Un team di ricercatori ha usato tre osservatori sul Monte Maunakea alle Hawaii per individuare uno dei quasar più antichi conosciuti, superato in età solo dal quello catalogato come J1342+0928, la cui scoperta venne annunciata nel dicembre 2017.

Dalla Terra vediamo Pōniuāʻena com’era circa 13 miliardi di anni fa, un quasar alimentato da un buco nero supermassiccio con una massa stimata in un miliardo e mezzo di volte quella del Sole, quasi il doppio rispetto a quello che alimenta J1342+0928. Ciò ripropone più che mai il problema della crescita rapida di certi buchi neri supermassicci primordiali.

I quasar sono gli oggetti più luminosi dell’universo grazie ai buchi neri supermassicci che sono circondati da grandi quantità di materiali che vengono scaldati dall’enorme forza di gravità al punto da generare emissioni elettromagnetiche talmente intense da essere visibili a miliardi di anni luce di distanza. Nonostante ciò, ci sono voluti gli sforzi combinati dell’Osservatorio W. M. Keck, dell’Osservatorio Gemini e dello United Kingdom Infrared Telescope (UKIRT) per individuare Pōniuāʻena, un nome hawaiano.

Lo studio di oggetti primordiali come Pōniuāʻena è importante per capire come buchi neri supermassicci del genere possano formarsi così rapidamente ma è legato anche ad altri studi cosmologici. Jinyi Yang, ricercatore postdoc associato all’Osservatorio Steward dell’Università dell’Arizona e primo autore dello studio, ha spiegato che si tratta dell’oggetto più distante conosciuto con un buco nero che ha una massa maggior di un miliardo di masse solari. Il problema è che secondo i modelli teorici esso dovrebbe avere avuto unizio come un “seme” che aveva una massa di circa 10.000 masse solari circa cento milioni di anni dopo il Big Bang. Ciò sarebbe incoerente con altri modelli, quelli descrivono la fase iniziale dello sviluppo dell’universo.

Secondo i modelli attuali, stelle e galassie hanno cominciato a formarsi circa 400 milioni di anni dopo il Big Bang. Era la cosiddetta epoca della reionizzazione, un periodo fondamentale nella storia dell’universo in cui l’idrogeno, che nel primo periodo di vita dell’universo era neutro, venne separato in protoni ed elettroni. I primi buchi neri dovrebbero aver cominciato a crescere durante quel periodo ma è difficile riconciliare i tempi della crescita di Pōniuāʻena con quelli della formazione di stelle e galassie.

Lo studio dei quasar primordiali aiuta ad accumulare dati sull’epoca della reionizzazione perché le sue emissioni elettromagnetiche sono alterate dal gas intergalattico attraverso cui passa. Analizzare lo spettro di quelle emissioni aiuta a capire le caratteristiche del gas attraverso cui sono passate. Nel caso di quasar antichi come Pōniuāʻena, la speranza è che forniscano dati che spieghino la sua crescita. Gli strumenti potenti e sofisticati oggi disponibili sono molto utili in questi studi, tanto più quando una ricerca ne usa vari con diverse caratteristiche che offrono un quadro più completo di certi processi cosmici.

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