La Croce di Einstein studiata sotto una microlente gravitazionale

Il quasar Q2237+0305 soprannominato Croce di Einstein fotografato dal telescopio spaziale Hubble (Immagine NASA, ESA e STScI)
Il quasar Q2237+0305 soprannominato Croce di Einstein fotografato dal telescopio spaziale Hubble (Immagine NASA, ESA e STScI)

Un articolo pubblicato sulla rivista “The Astrophysical Journal Letters” descrive una ricerca sul quasar Q2237+0305 soprannominato Croce di Einstein. Attraverso la tecnica della microlente gravitazionale un team di astrofisici spagnoli ha effettuato le più accurate misure della regione interna appartenente al disco di materiali in rotazione attorno al buco nero supermassiccio che alimenta questo quasar.

Il quasar Q2237+0305 è distante circa 8 miliardi di anni luce dalla Terra ma tra noi ed esso, a circa 400 milioni di anni luce, c’è una galassia. Essa distorce la luce che proviene dal quasar con la sua fortissima gravità, tanto che quella luce arriva fino a noi da quattro direzioni diverse. Per questo motivo, la Croce di Einstein viene anche chiamata G2237+0305 (con la G all’inizio al posto della Q).

Le quattro immagini che vediamo del quasar Q2237+0305 formano una croce mentre il riferimento ad Einstein è dovuto al fatto che quella distorsione, chiamata lente gravitazionale, è un effetto previsto dalla teoria della relatività generale formulata dal grande scienziato. Il soprannome Croce di Einstein viene usato per il quasar Q2237+0305 ma indica un fenomeno più generico perché altre di quel tipo sono conosciute come ad esempio la supernova SN Refsdal.

I quasar emettono grandissime quantità di luce, proveniente dal disco di materiali che ruota attorno a un buco nero supermassiccio. La sua immensa forza di gravità scalda quei gas e polveri tanto che emettono radiazioni elettromagnetiche. Il loro flusso ci permette di vedere il quasar a miliardi di anni luce di distanza ma esso e il disco di materiali che lo circondano hanno dimensioni apparenti talmente ridotte che la quantità di luce che ci arriva è davvero ridotta.

In questi casi, si parla di microlenti gravitazionali perché l’effetto di lente gravitazionale riguarda oggetti di cui ci arriva una quantità limitata di luce. Il disco del quasar Q2237+0305 ha una dimensione paragonabile a quella del nostro sistema solare ma è talmente distante che è possibile provare a effettuare qualche misurazione solo usando la tecnica della microlente gravitazionale.

Grazie a due progetti riguardanti le microlenti gravitazionali, OGLE (Optical Gravitational Lensing Experiment) e GLITP (Gravitational Lens International Time Project), gli astrofisici che hanno condotto questa ricerca hanno avuto a disposizione i dati relativi alle variazioni di luminosità delle quattro immagini del disco del quasar Q2237+0305.

L’esame di tutti questi dati, raccolti per oltre un decennio, ha permesso di ottenere misure precise dell’area più interna del disco di materiali attorno al buco nero supermassiccio che alimenta il quasar Q2237+0305. Quell’area potrebbe costituire l’ultima orbita stabile prima dell’orizzonte degli eventi del buco nero, oltre il quale la forza di gravità diventa talmente forte che neppure la luce può più sfuggirgli.

Questo risultato è unico perché è arrivato grazie all’effetto di lente gravitazionale che in questo caso ha moltiplicato l’immagine del quasar Q2237+0305. Nuovi telescopi più sofisticati sono in fase di costruzione perciò nel prossimo decennio sarà possibile migliorare le osservazioni su larga scala dei quasar per studiare più a fondo questi fenomeni e la loro influenza sulla formazione e l’evoluzione delle galassie che li ospitano.

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