Ci sono molte più galassie iperluminose di quelle che le stelle possano produrre

Galassia iperluminosa vista da Hubble (Immagine ESA/Hubble)
Galassia iperluminosa vista da Hubble (Immagine ESA/Hubble)

Un articolo pubblicato sulla rivista “Astronomy & Astrophysics” riporta uno studio sulle galassie iperluminose. Un team di ricercatori guidato da Lingyu Wang dell’Istituto Olandese per le Ricerche Spaziali di Utrecht ha usato il radiotelescopio LOFAR per valutare la quantità di galassie iperluminose agli infrarossi concludendo che essa è dieci volte più numerosa di quelle che le stelle possono produrre secondo i modelli attuali. Se i modelli sono corretti, significa che in molte galassie ci sono altre fonti luminose come ad esempio un nucleo galattico attivo alimentato da un buco nero supermassiccio circondato da grandi quantità di materiali scaldati al punto da generare emissioni elettromagnetiche.

Secondo i modelli correnti, quando l’universo era giovane alcune galassie primordiali contenevano una quantità di gas molto elevata, al punto da formare rapidamente moltissime stelle arrivando a emettere la luce di mille miliardi di soli. Stelle giganti consumano molto rapidamente il loro idrogeno perciò con il passare del tempo il numero di galassie iperluminose è calato.

Osservazioni condotte con il telescopio spaziale Herschel ha permesso di individuare fonti iperluminose agli infrarossi sia nell’universo primordiale che in epoche più recenti. Il problema è che la risoluzione spaziale di Herschel non è sufficiente per distinguere le galassie individuali perciò i risultati suggerivano che vi fosse un eccesso di fonti iperluminose ma non erano conclusivi.

Il team di Lingyu Wang ha condotto un nuovo studio sulle fonti infrarosse iperluminose utilizzando il radiotelescopio LOw Frequency ARray (LOFAR), che ha una risoluzione spaziale più elevata ed è quindi in grado di distinguere le galassie individuali. L’immagine in basso (Cortesia Istituto Olandese per le Ricerche Spaziali, tutti i diritti riservati) mostra un gruppo di galassie iperluminose viste da Herschel (a sinistra) e LOFAR (a destra).

Le osservazioni condotte con il radiotelescopio LOFAR hanno portato alla conferma della possibilità che le fonti iperluminose siano dieci volte più numerose rispetto a quanto previsto dai modelli correnti. C’è la possibilità che i modelli contengano errori ma la discordanza è notevole perciò i ricercatori hanno preso in considerazione altre possibilità.

La fonte luminosa alternativa più probabile è quella di un nucleo galattico attivo. Anche galassie giovani hanno mostrato di avere buchi neri supermassicci, i quali possono essere circondati da grandi quantità di materiali che vengono scaldati al punto da generare emissioni elettromagnetiche talmente forti da trasformare le loro galassie negli oggetti più luminosi dell’universo. Quando una galassia è piena di polvere, può essere difficile riconoscere l’esistenza di un nucleo galattico attivo perché molte frequenze elettromagnetiche vengono bloccate. La conseguenza può essere che una galassia con un nucleo galattico attivo sia iperluminosa agli infrarossi, i quali passano attraverso la polvere.

Un gruppo di galassie iperluminose viste da Herschel

Lingyu Wang, assieme a W. J. Pearson, un membro del suo team, avevano partecipato in passato a un altro studio, pubblicato anch’esso su “Astronomy & Astrophysics”, che mostrava come le fusioni galattiche potessero generare un nucleo galattico attivo. Nell’universo primordiale le fusioni galattiche erano molto comuni perciò è possibile che anche i nuclei galattici attivi fossero molto più numerosi rispetto a oggi.

Per ottenere altri dati, i ricercatori intendono condurre uno studio mirato usando l’osservatorio Keck. Le sue caratteristiche permetteranno di ottenere dati più precisi sulla distanza delle galassie osservate e rilevazioni a frequenze ottiche con i relativi spettri. Ciò aiuterà a ottenere altre informazioni sull’evoluzione delle galassie.

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