Sonde spaziali

Blog che parlano di sonde spaziali: lanci e operazioni.

Aganippe Fossa

L’ESA ha pubblicato un’immagine catturata dallo strumento High Resolution Stereo Camera (HRSC) della sua sonda spaziale Mars Express di Aganippe Fossa, una formazione che ha l’aspetto di una cicatrice sulla superficie del pianeta Marte davvero colossale dato che è lunga circa 600 chilometri. Questa fossa tettonica è una formazione geologica del tipo chiamato in gergo graben. Non vi sono certezze sulla sua formazione ma è probabilmente legata a flussi di lava sotto gli enormi vulcani della regione di Tharsis, a cominciare da Arsia Mons, il più vicino ad Aganippe Fossa.

In alto a sinistra un campione prelevato sull'asteroide Bennu e nei successivi riquadri viste sempre più ingrandite di un frammento che si è staccato lungo una vena luminosa che contiene fosfato, catturata al microscopio elettronico

Un articolo pubblicato sulla rivista “Meteoritics & Planetary Science” riporta i risultati dell’analisi preliminare dei campioni di materiali dell’asteroide Bennu riportati sulla Terra dalla sonda spaziale OSIRIS-REx della NASA. Un team di ricercatori che include Maurizio Pajola e Filippo Tusberti dell’INAF (Istituto nazionale di astrofisica) di Padova ha condotto analisi morfologiche e chimiche dei campioni trovandovi molto carbonio e azoto assieme a composti organici, tutti componenti davvero importanti per forme di vita di tipo terrestre.

La sorpresa è arrivata dalla scoperta di fosfato di magnesio-sodio, che non era stato rilevato dagli strumenti a bordo di OSIRIS-REx. Questo composto si forma in ambienti ricchi d’acqua e suggerisce che Bennu possa essere un frammento di un mondo primordiale che aveva un oceano. I ricercatori hanno menzionato Encelado, la luna di Saturno con un oceano sotterraneo dove è stato trovato un fosfato di sodio e suggeriscono un possibile legame con Bennu.

Il vulcano di Ceraunius Tholus visto dallo strumento CaSSIS della sonda spaziale TGO con la brina in un colore bluastro

Un articolo pubblicato sulla rivista “Nature Geoscience” riporta la rilevazione di brina sui vulcani della regione di Tharsis su Marte. Un team di ricercatori che include Giovanni Munaretto dell’INAF (Istituto nazionale di astrofisica) ha usato dati ottenuti da due sonde spaziali dell’ESA, la TGO della missione ExoMars e Mars Express, che hanno permesso di scoprire per la prima la presenza di acqua ghiacciata sulla superficie marziana all’equatore del pianeta rosso. Nelle caldere degli enormi vulcani di Tharsis sono stati avvistati depositi blu riconducibili a ghiaccio d’acqua che sono presenti solo al mattino per poi evaporare qualche ora dopo.

Particelle di magnetite tagliate da un campione dell'asteroide Ryugu

Un articolo pubblicato sulla rivista “Nature Communications” riporta i risultati di esami condotti su campioni dell’asteroide Ryugu riportati sulla Terra dalla sonda spaziale Hayabusa 2 dell’agenzia spaziale giapponese JAXA. Un team di ricercatori guidato dal professor Yuki Kimura dell’Università di Hokkaido ha trovato le tracce degli effetti causati probabilmente dal bombardamento di micrometeoriti.

In particolare, la tecnica chiamata olografia elettronica ha permesso di scoprire che i piccoli grani chiamati framboidi, composti di magnetite, hanno perso completamente le proprietà magnetiche che hanno normalmente. Secondo il professor Kimura, questo tipo di studio può esere utile anche per stimare il degrado causato dalla polvere interplanetaria su navicelle spaziali.

Io vista dalla sonda spaziale Juno (Immagine NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS. Image processing: Gerald Eichstädt/Thomas Thomopoulos (CC BY))

Alla European Geophysical Union General Assembly tenuta a Vienna nel corso della scorsa settimana l’investigatore principale della missione Juno della NASA, Scott Bolton, ha illustrato alcune nuove scoperte offerte dalla sonda spaziale Juno tra cui alcune riguardanti Io, la luna di Giove ricoperta di vulcani. Io è stata studiata anche da un team di ricercatori che ha usato il radiotelescopio ALMA per mappare i movimenti degli isotopi di zolfo e ricostruire il riscaldamento mareale che genera l’intensa attività vulcanica. I risultati sono stati pubblicati in un articolo sulla rivista “Journal of Geophysical Research: Planets”.