Buchi neri

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Il quasar J0148+0600

Un articolo pubblicato sulla rivista “The Astrophysical Journal” riporta i risultati di osservazioni di quasar primordiali che indicano che i buchi neri supermassicci si formano da “semi” che sono molto massicci e crescono rapidamente. Un team di ricercatori ha usato osservazioni condotte con il telescopio spaziale James Webb all’interno del progetto EIGER per rilevare la fioca luce delle stelle che circondano tre di quei quasar. Quest’impresa offre la possibilità di ottenere molte più informazioni che permettono di stimare la massa delle galassie e dei buchi neri supermassicci centrali.

Le stime ottenute riguardo alle tre galassie al centro di questo studio indicano che i buchi neri supermassicci primordiali erano molto più massicci di quelli odierni rispetto alle galassie che li ospitano. Secondo la ricostruzione dei ricercatori, i quasar primordiali alimentati dai buchi neri hanno inghiottito materiali a velocità enormi passando da semi iniziali a buchi neri supermassicci.

Un'osservazione spettroscopica condotta con lo strumento Near Infrared Spectrograph (NIRSpec) del telescopio spaziale James Webb della galassia Cosmos-11142 centrata sulla linea di emissione dell'ossigeno doppiamente ionizzato

Un articolo pubblicato sulla rivista “Nature” riporta l’osservazione di venti fortissimi provenienti dal buco nero supermassiccio al centro della galassia Cosmos-11142 che hanno inibito la formazione stellare al suo interno. Un team di ricercatori guidato dal professor Sirio Belli dell’Università di Bologna ha usato il telescopio spaziale James Webb per rilevare il movimento di gas neutro freddo spinto a una velocità tale da spazzare via il gas nella galassia e quindi a impedire la formazione di nuove stelle. Si tratta della prima prova di come un buco nero supermassiccio può avere quell’effetto su una galassia.

La posizione dei tre buchi neri stellari scoperti finora nella Via Lattea, rappresentata in proiezione, grazie alla missione Gaia.

Un articolo pubblicato sulla rivista “Astronomy and Astrophysics Letters” riporta l’identificazione di un buco nero stellare con una massa stimata in circa 33 volte quella del Sole che è stato catalogato come Gaia BH3. Un team di ricercatori ha usato dati raccolti dalla sonda spaziale Gaia dell’ESA per trovare questo buco nero nell’alone della Via Lattea, a meno di duemila anni luce dalla Terra. La sua massa è notevole per un buco nero stellare e ha una compagna, una stella molto antica dato che la sua età è stimata in circa 11 miliardi di anni.

Rappresentazione artistica del lampo gamma GRB221009A con i getti relativistici provenienti dal buco nero al centro (Immagine cortesia Aaron M. Geller / Northwestern / CIERA / IT Research Computing and Data Services)

Un articolo pubblicato sulla rivista “Nature Astronomy” riporta uno studio sul lampo gamma catalogato come GRB221009A, il più brillante mai rilevato, che conferma che è stato causato dal collasso di una stella massiccia, che successivamente è esplosa in una supernova. Un team di ricercatori guidati dalla Northwestern University ha usato dati raccolti con il telescopio spaziale James Webb e con il radiotelescopio ALMA per ottenere le informazioni necessarie a supportare le loro conclusioni. Rimane il mistero dell’assenza di tracce della generazione di elementi pesanti come platino e oro, che pensavano potessero essere associati a supernove che portano a lampi gamma molto potenti.

L'area attorno a Sagittarius A*, o semplicemente Sgr A*, il buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea, in luce polarizzata

Due articoli pubblicati sulla rivista “The Astrophysical Journal Letters” riportano diversi aspetti di uno studio di Sagittarius A*, o semplicemente Sgr A*, il buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea, che ha portato alla creazione di un’immagine in luce polarizzata dell’area attorno ad esso. La collaborazione Event Horizon Telescope (EHT), che include ricercatori dell’INFN (Istituto nazionale di fisica nucleare) e dell’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica), ha usato nuovamente una combinazione di vari radiotelescopi per rilevare la luce polarizzata grazie al fatto che le particelle che ruotano attorno alle linee del campo magnetico determinano uno schema di polarizzazione perpendicolare ad esso.