Cosmologia

Schema della Terra come centro di rilevazione di onde gravitazionali a bassissima frequenza emesse da coppie di buchi neri supermassicci (in alto) usando le pulsar (in basso) (Immagine cortesia EPTA)

Una serie di articoli pubblicati o in fase di pubblicazione sulle riviste “Astronomy and Astrophysics” e “The Astrophysical Journal Letters” riporta vari aspetti della rilevazione di onde gravitazionali a bassissima frequenza. Ricercatori dello European Pulsar Timing Array (EPTA), dell’Indian Pulsar Timing Array (InPta), del Parkes Pulsar Timing Array (PPTA), del Chinese Pulsar Timing Array (CPTA) e del North American Nanohertz Observatory for Gravitational Waves (NanoGrav) hanno analizzato dati raccolti nel corso di oltre 25 anni usando gruppi di pulsar per ottenere una sorta di rilevatore di onde gravitazionali a livello galattico. Ciò è stato possibile sfruttando l’estrema regolarità dei segnali emessi dalle pulsar per rilevare variazioni inferiori al milionesimo di secondo e le loro correlazioni per individuare onde gravitazionali. Questa tecnica espande l’astronomia delle onde gravitazionali aperta dai rilevatori LIGO e Virgo dall’annuncio della prima rilevazione nel febbraio 2016.

Alcune galassie osservate in questo studio, che vediamo com'erano quando l'universo aveva 900 milioni di anni

Tre articoli pubblicati sulla rivista “The Astrophysical Journal” riportano vari aspetti di uno studio sull’epoca della reionizzazione e portano prove che le prime galassie hanno trasformato l’universo da un luogo opaco all’attualre luogo in cui la luce si diffonde. Ricercatori del team EIGER guidati da Simon Lilly del Politecnico federale di Zurigo, Svizzera, hanno usato il telescopio spaziale James Webb assieme ad alcuni telescopi al suolo per osservare galassie primordiali trovando regioni trasparenti attorno ad esse grazie alla reionizzazione del gas.

La mappa della materia oscura basata sulle osservazioni dell'Atacama Cosmology Telescope

Durante la conferenza Future Science with CMB x LSS in fase di svolgimento all’Università di Kyoto in Giappone, sono stati presentati i risultati di una mappatura dettagliata della Materia Oscura in una parte dell’universo. Tre articoli disponibili in anteprima e sottoposti alla rivista “The Astrophysical Journal” illustrano questi risultati, ottenuti usando osservazioni condotte all’Atacama Cosmology Telescope (ACT) in Cile, in attività tra il 2007 e il 2022. Questa mappa (Immagine cortesia Collaborazione ACT) è stata ottenuta analizzando la radiazione cosmica di fondo e le deviazioni che ha subito a causa della gravità di strutture massicce come concentrazioni di materia oscura.

Gli anelli di polvere generati dal lampo gamma GRB221009A visti dal telescopio spaziale XMM-Newton (Immagine ESA/XMM-Newton/M. Rigoselli (INAF))

Un numero speciale della rivista “The Astrophysical Journal Letters” è dedicato al lampo gamma catalogato come GRB221009A, indicato fin dalle prime stime delle sue caratteristiche come il lampo gamma del secolo. Diversi team di ricercatori hanno condotto vari tipi di analisi dei dati raccolti da molti strumenti che hanno rilevato in parecchie bande elettromagnetiche le emissioni provenienti da GRB221009A e dal cosiddetto afterglow, cioè i residui delle sue emissioni. L’enorme mole di dati indica che si tratta del più potente lampo gamma mai osservato e offre nuove informazioni su questi fenomeni estremamente energetici. In questo caso, si è trattato di un lampo gamma lungo, probabilmente generato dal collasso del nucleo di una stella massiccia e dalla successiva nascita di un buco nero.

Uno schema del passaggio dall'universo pieno di idrogeno neutro e buio a quello luminoso che segue l'epoca della reionizzazione

Un articolo pubblicato sulla rivista “Astronomy & Astrophysics” riporta l’individuazione di un gruppo di galassie primordiali che potrebbero essere tra quelle che hanno contribuito alla reionizzazione dell’universo, facendolo diventare da buio a luminoso. Un team di ricercatori coordinato dall’INAF (Istituto nazionale di astrofisica) ha usato osservazioni condotte con il telescopio spaziale James Webb all’interno del programma GLASS-JWST per studiare 29 galassie molto lontane e quindi antiche. L’esame delle caratteristiche fisiche di quelle galassie ha portato i ricercatori a concludere che l’80% di esse ha contribuito in modo significativo alla reionizzazione.