Una spiegazione all’origine del “cuore” di Plutone

Una parte di Sputnik Planum vista dalla sonda spaziale New Horizons (Foto NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institute)
Una parte di Sputnik Planum vista dalla sonda spaziale New Horizons (Foto NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institute)

Un articolo (link al file in formato PDF) pubblicato sulla rivista “Nature” offre una spiegazione all’esistenza di Sputnik Planum, il bacino a forma di cuore su Plutone. Tanguy Bertrand e François Forget, due ricercatori del Laboratoire de météorologie dynamique (CNRS/École polytechnique/UPMC/ENS Parigi) hanno usato simulazioni al computer per mostrare che la peculiare insolazione e atmosfera di Plutone favorisce la condensazione vicino all’equatore nelle zone di bassa altitudine. La conseguenza è l’accumulo di ghiaccio d’azoto in quel bacino.

Tra i tanti straordinari elementi geologici del pianeta nano Plutone scoperti dalla sonda spaziale New Horizons nel corso del suo volo ravvicinato del 14 luglio 2015 il bacino a forma di cuore è particolarmente riconoscibile. Per gli scienziati, si tratta di una formazione molto interessante con il suo strato di ghiaccio di azoto che ha uno spessore stimato in 4 chilometri e soprattutto per il fatto che la sua età è stata stimata attorno ai 100 milioni di anni, poco in termini geologici.

Sputnik Planum è già stata oggetto di varie ricerche e quelle pubblicate sempre sulla rivista “Nature” nel giugno 2016 offrivano una spiegazione per il rinnovo della sua superficie con un ciclo dell’azoto. Ora i due ricercatori francesi hanno condotto uno studio supportato dall’agenzia spaziale francese CNRS per spiegare l’origine di quel ghiacciaio e secondo loro si è formato assieme al bacino.

Simulazioni al computer hanno mostrato che l’azoto ghiacciato si accumula nella parte più profonda del bacino formando una riserva permanente. Il calore proveniente dal Sole è limitato e la conseguenza è che il ghiaccio rimane intrappolato ma anche l’equilibro tra gli stati solido e gassoso dell’azoto contribuisce a quel fenomeno. In fondo al bacino la pressione atmosferica e quindi dell’azoto gassoso aumenta e la corrispondente temperatura della brina è maggiore di quella all’esterno del bacino, con la conseguenza che l’azoto tende a congelare.

Le simulazioni hanno coperto circa 50.000 anni terrestri di storia del pianeta nano Plutone per studiare l’evoluzione chimica dei depositi di ghiaccio. Oltre all’azoto ci sono cicli di metano e monossido di carbonio. La formazione di questi depositi è stata influenzata dalla conformazione della superficie con profonde cavità che agevolano il raffreddamento dell’azoto e degli altri composti chimici.

I risultati delle simulazioni sono stati confrontati con i dati raccolti dalla sonda spaziale New Horizons e sono coerenti con essi. Secondo i ricercatori, la pressione atmosferica è al suo picco stagionale e calerà nel corso dei prossimi decenni mentre la brina stagionale tenderà a sparire. Si tratta di processi molto lenti perciò la prossima volta che una sonda spaziale, magari fra qualche decennio, si avvicinerà a Plutone saranno ancora in corso.

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