Un articolo pubblicato sulla rivista “Science” riporta la scoperta di quello che potrebbe essere il più piccolo buco nero conosciuto, forse addirittura il primo rappresentante di una nuova classe di buchi neri. Un team di ricercatori guidato dal professor Todd Thompson della Ohio State University ha usato i dati dell’indagine APOGEE (Apache Point Observatory Galactic Evolution Experiment) per scoprire un sistema binario che include un oggetto non visibile che potrebbe essere un buco nero. Se fosse invece una stella di neutroni sarebbe di gran lunga la più massiccia conosciuta, ben oltre il limite massimo teorico prima del collasso di un tale oggetto in un buco nero.
Buchi neri e stelle di neutroni sono due possibili modi per una stella di terminare la propria vita dopo essere esplosa in una supernova. Secondo i modelli teorici, se il nucleo rimasto ha una massa inferiore a 2,5 volte quella del Sole diventa una stella di neutroni, oltre quella massa collassa in un buco nero. Tuttavia, le stelle di neutroni conosciute hanno una massa tipica che è 2,1 volte quella del Sole mentre i più piccoli buchi neri conosciuti hanno una massa tra 5 e 6 volte quella del Sole. Nell’intervallo tra quelle masse le nostre conoscenze sono ancora teoriche ma il team di Todd Thompson ha cercato di trovare qualche oggetto in quella categoria.
Questa ricerca è partita dai dati dell’indagine APOGEE, che ha raccolto gli spettri luminosi di oltre 100.000 stelle nella Via Lattea. Quegli spettri possono rivelare la presenza di una compagna invisibile di una stella che ne causa periodici spostamenti avendo tra le conseguenze un’alterazione delle emissioni luminose. I ricercatori hanno selezionato 200 stelle che potrebbero essere in quella situazione e i loro dati sono stati incrociati con quelli di un’altra indagine, ASAS-SN (All-Sky Automated Survey for Supernovae). Il risultato è stato l’identificazione della stella gigante rossa 2MASS J05215658+4359220, o semplicemente J05215658, che sembrava proprio orbitare attorno a una compagna invisibile.
I ricercatori hanno potuto aggiungere altri dati raccolti dallo strumento TRES (Tillinghast Reflector Echelle Spectrograph) del FLWO (Fred Lawrence Whipple Observatory) e dalla sonda spaziale Gaia dell’ESA. Tutti i dati a disposizione hanno permesso di calcolare le caratteristiche dei due oggetti, che orbitano l’uno attorno all’altro in circa 83 giorni. L’immagine (Cortesia Ohio State by Jason Shults. Tutti i diritti riservati) mostra un concetto artistico di buco nero, in basso a sinistra, vicino a una gigante rossa.
La massa della compagna invisibile di J05215658 era il risultato più importante e ha destato la sorpresa perché il picco di probabilità del valore calcolato è di 3,3 volte quella del Sole. Anche con tanti dati disponibili, i risultati hanno un margine di errore tutt’altro che piccolo dato che la massa dell’oggetto invisibile va da un minimo di 2,6 a un massimo di 6,1 volte quella del Sole. I valori agli estremi sono improbabili ma non possono essere esclusi, rendendo difficili le valutazioni.
L’oggetto invisibile potrebbe essere una stella di neutroni molto massiccia ma di solito questi oggetti hanno forti emissioni elettromagnetiche. L’ipotesi più probabile è decisamente che si tratti di un buco nero di massa relativamente piccola. In questo caso, è del tipo non-interattivo, cioè che non strappa gas alla compagna e non è circondato da materiali che possano essere scaldati ed emettere radiazioni elettromagnetiche.
Todd Thompson ha commentato che il suo team ha offerto un nuovo modo di cercare i buchi neri ma ha anche potenzialmente identificato uno dei primi di una nuova classe di buchi neri di piccola massa che gli astronomi non conoscevano prima. Le masse degli oggetti ci raccontano della loro formazione ed evoluzione, e ci raccontano la loro natura. Solo verificando l’esistenza di questi buchi neri potremo ottenere un censimento completo di questi oggetti estremi.