Una possibile spiegazione alla crescita dei buchi neri supermassicci

Chandra Deep Field-South e illustrazione di un buco nero supermassiccio (Immagine X-ray: NASA/CXC/Univ. of Rome/E.Pezzulli et al. Illustration: NASA/CXC/M.Weiss)
Chandra Deep Field-South e illustrazione di un buco nero supermassiccio (Immagine X-ray: NASA/CXC/Univ. of Rome/E.Pezzulli et al. Illustration: NASA/CXC/M.Weiss)

Un articolo pubblicato sulla rivista “Monthly Notices of the Royal Astronomical Society” descrive una ricerca sui meccanismi di crescita dei buchi neri supermassicci. Un team di sei ricercatrici italiane guidato da Edwige Pezzulli, dottoranda dell’Inaf di Roma, propone un modello che prevede che questi oggetti possano raggiungere masse anche miliardi di volte quella del Sole non con una crescita continua ma con periodici “pasti” molto rapidi durante i quali inghiottono enormi quantità di materia.

Il mistero attorno ai buchi neri supermassicci è dato dal fatto che essi sono stati osservati anche a 12,8 miliardi di anni luce di distanza e ciò significa che esistevano già quando l’universo aveva “solo” un miliardo di anni di vita. Sembrerebbe un tempo troppo breve perché un buco nero sia riuscito a formarsi e ad accumulare una massa miliardi di volte quella del Sole.

Varie ricerche hanno tentato di risolvere quella che sembra una contraddizione tra le osservazioni e i modelli teorici. Ora il team che include di Edwige Pezzulli, Rosa Valiante, Maria C. Orofino, Raffaella Schneider, Simona Gallerani e Tullia Sbarrato ha offerto una possibile soluzione.

Le ricercatrici hanno usato dati raccolti usando l’osservatorio per i raggi X Chandra della NASA e in particolare il Chandra Deep Field-South (CDF-S), un’esposizione da quasi 2.000 ore che costituisce la più profonda immagine ai raggi X mai catturata. Altri dati sono stati raccolti dalla Sloan Digital Sky Survey (SDSS).

Tutti questi dati hanno permesso di trovare alcuni candidati buchi neri in fase di crescita grazie ai raggi X emessi quando gas e polveri che orbitano attorno ad essi precipitano verso di essi scaldandosi notevolmente ed emettendo quelle radiazioni elettromagnetiche.

Secondo il modello proposto dalle ricercatrici, i buchi neri possono crescere in maniera molto rapida inghiottendo enormi quantità di materia in poche fasi di crescita. In quelle occasioni, diventano fonti luminose ai raggi X e possono quindi essere osservati anche a enormi distanze. La loro massa iniziale è dell’ordine delle cento masse solari e potrebbero essersi formati dalla prima generazione di stelle massicce esistita nell’universo alcune centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang.

Le osservazioni effettuate costituiscono una fase iniziale della ricerca che ha fornito risultati promettenti. Tuttavia, per provare che la teoria proposta dalle ricercatrici è corretta sarà necessario osservare porzioni di cielo più ampie ai raggi X. È l’unico modo per scoprire una quantità sufficiente di candidati progenitori che permetta di capire se questo nuovo modello corrisponde alle osservazioni.

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