Una soluzione al mistero dei fulmini su Giove

Concetto artistico della distribuzione dei fulmini su Giove (Immagine NASA/JPL-Caltech/SwRI/JunoCam)
Concetto artistico della distribuzione dei fulmini su Giove (Immagine NASA/JPL-Caltech/SwRI/JunoCam)

Due articoli, uno pubblicato sulla rivista “Nature” e uno pubblicato su “Nature Astronomy”, descrivono due ricerche sui fulmini gioviani. Un team guidato da Shannon Brown del JPL della NASA ha descritto i modi in cui i fulmini sul pianeta Giove sono analoghi a quelli sulla Terra anche se in qualche modo sono opposti. Un altro team guidato da Ivana Kolmašová della Czech Academy of Sciences di Praga ha creato il più vasto database di emissioni radio a bassa frequenza generate da fulmini su Giove, chiamati in gergo whistler. In entrambi i casi i ricercatori hanno usato dati raccolti dalla sonda spaziale Juno della NASA.

L’esistenza di fulmini sul pianeta Giove era stata teorizzata molto tempo fa ma solo nel 1979 il passaggio della sonda spaziale Voyager 1 della NASA permise di accertarla. Vari fulmini vennero fotografati e le rilevazioni di altri strumenti suggerirono che molti altri avevano un’intensità insufficiente a essere registrata dalla macchina fotografica della Voyager 1. I dati raccolti furono abbastanza per verificare che, al contrario della teoria, i segnali radio associati ai fulmini non corrispondevano a quelli prodotti dai fulmini sulla Terra.

Shannon Brown ha spiegato che i fulmini si comportano come trasmettitori radio a prescindere dal pianeta ma le sonde spaziali che avevano studiato Giove, quindi Voyager 1, Voyager 2, Galileo e Cassini, avevano rilevato i segnali dei fulmini solo nelle loro emissioni di luce visibile e nell’intervallo di kilohertz delle onde radio nonostante avessero cercato segnali nell’intervallo dei megahertz.

La sonda spaziale Juno è stata progettata su decenni di esperienza di missioni spaziali e tra i suoi strumenti è incluso il Microwave Radiometer Instrument (MWR), che registra emissioni da Giove in un vasto spettro di frequenze. Entrata nell’orbita del gigante gassoso il 4 luglio 2016, nel corso dei primi otto passaggi ravvicinati al pianeta ha registrato grazie a MWR 377 fulmini. Le loro emissioni sono state nell’intervallo dei megahertz e addirittura dei gigahertz, ciò che avviene per le emissioni dei fulmini terrestri.

Secondo Shannon Brown, Juno ha avuto maggior fortuna rispetto alle sonde spaziali precedenti perché vola molto più vicino ai fulmini e le frequenze cercate passano facilmente attraverso la ionosfera di Giove. Insomma, i fulmini gioviani sono dopotutto simili a quelli terrestri ma la loro distribuzione è opposta nei due pianeti, nel senso che su Giove c’è molta attività vicino ai poli ma nessuna vicino all’equatore, l’opposto di ciò che succede sulla Terra.

Secondo i ricercatori, questa differenza è dovuta al fatto che sulla Terra il calore arriva soprattutto dalle emissioni solari ed è quindi nella sua concentrazione massima attorno all’equatore mentre Giove riceve molto meno calore dal Sole e ne produce molto di più al suo interno. Le emissioni solari colpiscono comunque soprattutto l’equatore gioviano ma è appena sufficiente a creare stabilità nell’atmosfera superiore, inibendo la risalita di aria calda dall’interno. Ai poli invece le correnti convettive possono risalire creando le condizioni per la formazione di fulmini.

Il team guidato da Ivana Kolmašová ha raccolto oltre 1.600 segnali di fulmini a basse frequenze emessi su Giove. Si tratta di una quantità quasi dieci volte superiore a quella rilevata dalla Voyager 1 con picchi di 4 fulmini al secondo, una quantità simile a quella osservata in temporali terrestri e sei volte maggiore dei picchi rilevati dalla Voyager 1.

Scott Bolton, il principale investigatore della missione Juno, ha spiegato che queste scoperte sono state possibili solo grazie a questa sonda spaziale con la sua orbita e i suoi strumenti avanzati progettati specificamente. Ciò permette di rilevare anche segnali deboli provenienti da fulmini in mezzo al caos di emissioni radio di Giove.

È per motivi come questi che nei giorni scorsi la NASA ha annunciato un’estensione della missione Juno fino al luglio 2021. In origine erano state programmate 36 orbite della durata di 14 giorni ciascuna ma qualche problema al motore principale della sonda spaziale aveva portato ad allungare le orbite a una durata di 53 giorni ciascuna.

L’estensione permetterà di compiere le 36 orbite e la buona salute degli strumenti di Juno offre ulteriori speranze per nuove scoperte. Questo era uno dei fattori critici della missione a causa dell’ambiente molto duro in cui lavora, riempito dalle potenti emissioni elettromagnetiche di Giove, ma per ora continuano a funzionare perfettamente.

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