Il mistero dei resti di supernova G11.2-0.3

I resti di supernova G11.2-0.3 (Foto X-ray: NASA/CXC/NCSU/K. Borkowski et al; Optical: DSS)
I resti di supernova G11.2-0.3 (Foto X-ray: NASA/CXC/NCSU/K. Borkowski et al; Optical: DSS)

Al workshop “Chandra Science for the Next Decade” che si sta tenendo a Cambridge, nel Massachussets, è stata presentata una nuova immagine dei resti di una supernova chiamati G11.2-0.3 ottenuta usando l’Osservatorio per i raggi X Chandra della NASA. Per anni questi erano stati considerati i resti della supernova registrata dai cinesi nel 386 D.C. e per questo motivo conosciuta come SN 386 ma i nuovi esami indicano che si trattò di una diversa supernova.

I nuovi dati ottenuti grazie al telescopio spaziale Chandra mostrano che ci sono dense nubi di gas tra G11.2-0.3 e la Terra. In precedenza, osservazioni agli infrarossi effettuate con il telescopio Hale dell’osservatorio di Palomar avevano indicato che parti dei resti della supernova erano fortemente oscurati da polveri. In sostanza, la supernova che generò quei resti avrebbe emesso una luce che sulla Terra sarebbe stata troppo fioca per poter essere vista a occhio nudo nel 386 D.C. lasciando nel mistero l’origine di G11.2-0.3.

L’immagine di G11.2-0.3 presentata in quest’occasione è solo l’ultima di una serie catturata dal telescopio spaziale Chandra nel corso degli anni dopo che è stato messo in orbita nel 1999. I ricercatori hanno confrontato le osservazioni più recenti con quelle del 2000, 2003 e 2013 e sono riusciti a stimare la velocità di espansione dei resti di quella supernova. Di conseguenza, hanno potuto stimare che dalla Terra la si sarebbe vista tra 1.400 e 2.400 anni fa.

Dati raccolti da altri osservatori avevano mostrato che G11.2-0.3 è il prodotto di una supernova causato dal collasso del nucleo di una stella. Ciò non è sorprendente perché si tratta del tipo di supernova di gran lunga più comune, che avviene quando la fusione nucleare genera vari elementi sempre più pesanti fino ad arrivare al punto in cui l’energia generata determina l’esplosione. In seguito alla supernova si è formata una stella di neutroni di tipo pulsar, con una rotazione estremamente rapida, conosciuta come PSR J1811-1926.

Nel caso della supernova che ha generato G11.2-0.3, i ricercatori suggeriscono che la stella abbia perso quasi tutte le sue regioni esterne, in un vento di gas asimmetrico in movimento verso l’esterno o per l’interazione con un’altra stella sua compagna. Essi ritengono che la stella più piccola rimasta avrebbe successivamente emesso gas verso l’esterno a una velocità ancor maggiore raccogliendo gas in precedenza perduto nel vento e formando un involucro denso. A quel punto la stella sarebbe esplosa generando i resti che vediamo oggi.

I risultati delle osservazioni più recenti di G11.2-0.3 erano già stati descritti in un articolo apparso sulla rivista “The Astrophysical Journal” nel marzo 2016. L’immagine presentata al workshop mostra i raggi X a bassa energia in rosso, quelli a media energia in verde e quelli ad alta energia in blu. Accertato che la supernova SN 386 non ha generato G11.2-0.3 la ricerca riprende su due supernove diverse.

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