Un articolo pubblicato sulla rivista “Astronomy & Astrophysics” riporta la scoperta di un buco nero in un sistema triplo conosciuto come HR 6819. Un team di ricercatori guidato da Thomas Rivinius dell’ESO ha usato lo spettrografo FEROS sul telescopio da 2,2 metri dell’MPG/ESO a La Silla per esaminare quel sistema all’interno di uno studio sui sistemi binari scoprendo con sorpresa la presenza di un terzo oggetto identificato come un buco nero. Si tratta del buco nero più vicino al sistema solare ma secondo i ricercatori potrebbe trattarsi della punta di un iceberg e potrebbero essercene molti altri simili, come previsto dai modelli teorici.
Distante circa 1000 anni luce dalla Terra, il sistema di HR 6819 è conosciuto anche con altre sigle di catalogo come HD 167128 o con il nome QV Telescopii. Visibile anche a occhio nudo, era inizialmente considerata una stella singola ma nel 2003 erano state trovate le tracce di una seconda stella vicina, confermate nel 2009 da una ricerca a cui aveva partecipato anche Thomas Rivinius. Lo studio è continuato individuando le tracce di un terzo oggetto e sono servite osservazioni con lo strumento FEROS (Fiber-fed Extended Range Optical Spectrograph) montato sul telescopio da 2,2 metri dell’MPG/ESO a La Silla, in Cile, per ottenere le informazioni mancanti.
La combinazione delle varie osservazioni condotte con lo spettrografo FEROS ha mostrato che una delle due stelle visibili orbita attorno a un oggetto invisibile ogni 40 giorni mentre l’altra stella è distante dalla coppia interna. L’immagine in alto (ESO/L. Calçada) mostra un’illustrazione artistica delle orbite dei tre oggetti: l’orbita del buco nero è indicata in rosso, quella della stella interna che gli orbita attorno è indicata in blu come quella della stella più distante.
Dietrich Baade, astronomo emerito all’ESO di Garching, uno degli autori di questo studio, ha spiegato che le osservazioni necessarie per determinare il periodo di 40 giorni dovevano essere distribuite nell’arco di parecchi mesi. Ciò è stato possibile solo grazie al servizio di osservazione pionieristico dell’ESO sotto la cui egida osservazioni sono condotte dallo staff dell’ESO per conto degli scienziati che ne hanno bisogno.
Il buco nero non era mai stato notato perché non interagisce violentemente con il proprio ambiente e di conseguenza appare davvero nero. I ricercatori hanno potuto individuarne la presenza e calcolarne la massa studiando l’orbita della compagna della coppia interna. La stima è che abbia una massa almeno quadrupla di quella del Sole e un oggetto invisibile con quella massa può essere solo un buco nero.
Sistemi come quello di HR 6819 sono interessanti anche perché configurazioni del genere potrebbero essere al centro di fusioni tra buchi neri o tra un buco nero e una stella di neutroni quando includono due oggetti di quei tipi. Ciò perché l’oggetto più esterno potrebbe influenzare i compagni con la sua forza di gravità. I modelli teorici prevedono una quantità di buchi neri maggiore di quella conosciuta ma potrebbero essere non interattivi come quello appena scoperto. I ricercatori stanno esaminando un altro sistema, chiamato LB-1, che potrebbe essere anch’esso triplo. In sostanza, questa ricerca rappresenta un passo avanti all’interno di una serie più ampia di studi astronomici di diversi tipi.