Un articolo pubblicato sulla rivista “The Astrophysical Journal” descrive una ricerca sulle enormi bolle di plasma espulse dalla stella gigante rossa V Hydrae. Un team di astronomi guidato da Raghvendra Sahai del JPL della NASA ha utilizzato il telescopio spaziale Hubble per studiare questo fenomeno concludendo che quelle bolle di plasma provengono da un’altra stella, una compagna di V Hydrae che non riusciamo a vedere.
V Hydrae è una stella al carbonio, una gigante rossa con una forte presenza di carbonio nella sua atmosfera. Il carbonio è più abbondante dell’ossigeno e i due elementi si combinano per formare monossido di carbonio. Ciò consuma l’ossigeno mentre il carbonio rimasto si combina per formare vari composti. La conseguenza è un colore rosso rubino.
Trattandosi di una gigante rossa, V Hydrae è all’ultimo stadio della sua vita e ha perso oltre metà della sua massa espellendola nello spazio. Per questo motivo, sembrava improbabile che potesse espellere anche bolle di gas a temperature elevatissime di dimensioni doppi di quelle del pianeta Marte. Per cercare di capire il fenomeno, V Hydrae e la regione circostante sono state studiate utilizzando lo spettrografo STIS del telescopio spaziale Hubble dal 2002 al 2004 e poi dal 2011 al 2013.
Il lungo periodo di osservazioni ha permesso di stimare che le bolle di plasma vengono espulse una ogni 8 anni e mezzo e secondo gli astronomi questo fenomeno sta andando avanti da almeno quattro secoli. I dati spettroscopici mostrano che queste bolle hanno temperature di oltre 9.400° Celsius e hanno permesso di tracciare le loro traiettorie fino a una distanza di circa 60 miliardi di chilometri da V Hydrae.
Secondo i ricercatori la spiegazione più probabile è che V Hydrae abbia una compagna più piccola che non riusciamo a vedere che ha un’orbita ellittica che la porta ad attraversare la sua atmosfera ogni 8 anni e mezzo. Questa compagna ruba materiali dagli strati esterni di V Hydrae che formano un disco di accrescimento attorno alla stella più piccola. La conseguenza è un effetto fionda che porta all’espulsione di questi materiali sotto forma di bolle di plasma a velocità elevatissime.
La spiegazione offerta potrebbe risolvere anche il mistero delle nebulose planetarie e la loro straordinaria varietà strutturale. Il nome venne dato loro nel 1780 dall’astronomo William Herschel, che pensava che potesse trattarsi di pianeti in formazione. In realtà si tratta di involucri di gas incandescenti che si stanno espandendo dopo essere stati espulsi durante l’ultima fase di vita di una stella.
Il telescopio spaziale Hubble ha permesso di scoprire molte nebulose planetarie con strutture molto diverse ma anche nodi di materiali. Essi potrebbero essere getti espulsi da dischi di accrescimento formati attorno ad altre stelle, compagne non visibili proprio come quella di V Hydrae. Molte stelle formano sistemi binari in cui una può essere molto più massiccia della compagna con la conseguenza che una può raggiungere la fine della sua vita molto prima dell’altra.
Non è chiaro per quanto questo fenomeno potrà continuare. Raghvendra Sahai e il suo team intendono continuare a osservare V Hydrae, possibilmente anche con il radiotelescopio ALMA per riuscire a rilevare le emissioni provenienti da vecchie bolle che si sono raffreddate troppo per emettere luce visibile o comunque radiazioni a frequenze rilevabili dal telescopio spaziale Hubble.